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Giovanni nasce il 15 dicembre 1912 a Calvisano nella casa di famiglia in via Umberto I (oggi via
Roma). È figlio di Teodoro e di Cristina Maccarini. Dopo la sorella Ester è il più grande dei suoi
fratelli. In famiglia è chiamato “il gigante buono” per la sua statura imponente, infatti è alto un
metro e novanta. Parte per il servizio militare come fante del 68° reggimento Fanteria. Il 14 marzo
1940 parte dal Distretto militare di Brescia e, dopo tre giorni e tre notti di viaggio, arriva a Sciacca,
in Sicilia. Nelle sue lettere descrive i luoghi e racconta ciò che fa: il clima non è buono, è ventoso e
alterna momenti di troppo caldo o troppo freddo, facendo spesso ammalare i soldati, anche di
malaria. Il 30 maggio 1940 scrive che è in marcia per una nuova destinazione, si ferma alcuni giorni
a Palermo, poi è ad Agrigento. I soldati sono così tanti che devono dormire sui pavimenti delle
chiese.
Alla fine di ottobre 1942 si trova a Vercelli, ma è in partenza per la Grecia; nel suo lungo viaggio,
compiuto su treni chiusi, passa anche da Brescia: sua sorella Ester lo aspetta alla stazione di
Brescia per salutarlo, ma l’affollamento e i rumori impediscono a Giovanni di sentire la voce della
sorella che lo chiama. Il 26 novembre 1942 giunge a destinazione: il viaggio in alcuni tratti viene
compiuto a piedi. Doveva durare otto giorni, invece ne servono venti per attraversare la Dalmazia,
la Serbia e la Bulgaria per poi giungere in Grecia. I ritardi sono dovuti ad incidenti ferroviari e a
tappe obbligate nei vari comandi militari lungo il percorso per gli approvvigionamenti. Gino viene
destinato al presidio militare posto su un’isola dalla quale deve sorvegliare la costa. Scrive a casa
che la gente del posto è dedita al contrabbando e che i rapporti con i civili sono distanti e
improntati alla prudenza. Il 10 agosto 1943 Giovanni scrive l’ultima lettera dalla Grecia: dopo l’8
settembre viene catturato dai tedeschi e internato a Remn (Bessarabia-Russia) nel campo 38.
Il 18 aprile 1944 Giovanni scrive: “Babbo mio carissimo, da circa otto mesi prosegue questa mia
vita da prigioniero, vita che lascerà ad ognuno tristi ricordi”, racconta del lungo inverno rigido che
ha dovuto sopportare, dei lavori che svolge nei pressi de campo (per lo più lavori stradali) ed
esprime l’angoscia che gli provoca la lontananza dai familiari.
Giovanni non riceve per lunghi mesi nessuna notizia da casa e il 14 maggio scrive ancora: “Amato
padre, […] continua questa vita di rassegnazioni e tristi ricordi. […] In ogni momento delle nere
giornate, sempre tu mi appari […] ricordo ogni premura e le buone parole […] quando il buon
destino con te mi portava. […] Con pazza gioia aspetto qualche vostra notizia, la quale forse potrà
calmare il mio sventurato cuore […]”.
In un’altra lettera Giovanni chiede al padre di mandargli delle cartine per le sigarette da poter
scambiare con qualche pezzo di pane per attenuare la fame.
La vita in prigionia è molto dura e il morale è provato quanto il fisico.
Il 9 Aprile 1945 Giovanni muore a causa di una polmonite. Viene sepolto presso il campo.